Materialien zum Neobuddhismus

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Wilhelm II.: "Völker Europas, wahrt Eure heiligsten Güter!"

11. Buddhismus in Italien


von Alois Payer

mailto: payer@payer.de


Zitierweise / cite as:

Payer, Alois <1944 - >: Materialien zum Neobuddhismus.  --   11. Buddhismus in Italien. -- Fassung vom 2005-07-09. -- URL: http://www.payer.de/neobuddhismus/neobud1101.htm . -- [Stichwort].

Erstmals publiziert: 1996-07-18

Überarbeitungen: 2005-07-09 [Ergänzungen]; 2005-06-16 [Ergänzungen]; 2005-05-05 [überarbeitet]; 2003-07-03 [überarbeitet und stark erweitert]; 1998-07-18

Anlass: Lehrveranstaltung Neobuddhismus, Univ. Tübingen, SS 1987, SS 2003, SS 2005

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Dieser Text ist Teil der Abteilung Buddhismus von Tüpfli's Global Village Library


Italien


1907-1927

In Bari, Italien erscheint die italienische Übersetzung durch den Geologen [!] Giuseppe De Lorenzo von K. E. Neumann's (1865-1915) Übersetzung:

Die Reden Gotamo Buddhos aus der Mittleren Sammlung (Majjhimanikâyo).
Bd I: Leipzig : Friedrich, 1896.
Bd II: Leipzig : Friedrich, 1900.
Bd III: Berlin : Altmann, 1902

Giuseppe De Lorenzo (1871-1957), war K. E. Neumanns bester Freund, ab 1905 ao. Prof. der Geologie und Physischen Geographie in Neapel. 1925 Ordinarius. 1913-1945 Mitglied des italienischen Senats.

Zu K. E. Neumann siehe: Payer, Alois <1944 - >: Materialien zum Neobuddhismus.  --   3. Deutschland. -- 3. Karl Eugen Neumann (1865-1915). -- URL: http://www.payer.de/neobuddhismus/neobud0303.htm

 
Abb.: Giuseppe De Lorenzo

"GIUSEPPE DE LORENZO : Scienziato Filosofo e Poeta

di Francesco Sernia

Scienza e letteratura. Un binomio insolito e lo è ancor di più quando il poeta è anche un insigne scienziato. Come Giuseppe De Lorenzo, geologo e naturalista che amava le lettere e andava anche oltre: s’intendeva di arte e ricamava con il pensiero. Per alcuni, uno scienziato prestato alla letteratura e alla filosofia; per altri, un letterato e filosofo prestato alla scienza. In ogni modo, fu certamente un uomo dall’animo raffinato, una mente poliedrica.

Un genio del Novecento italiano ed europeo, conosciuto ed apprezzato fin nel lontano Giappone, misconosciuto nella sua terra natale, la Lucania. A Lagonegro, dove nacque, una volta c’era una targa di pietra che lo ricordava.  Fu posta dalla Società Geologica Italiana, nel 1957, tre mesi dopo la morte di De Lorenzo. Faceva bella mostra di sé nei pressi del ponte Cararuncedde, sulla statale 19 delle Calabrie, la strada che collegava Salerno a Reggio. Poi, fu costruito un nuovo tracciato della strada e si sfondò la montagna perché una galleria l’attraversasse. La targa fu frantumata e i pezzi dispersi. Nessuno sa dove siano. La Società Geologica Italiana non ha però dimenticato il suo grande socio. E di tanto in tanto, attraverso convegni e seminari di studio, ne celebra le gesta letterarie, filosofiche e scientifiche.

De Lorenzo non aveva che ventuno anni quando pubblicò, sulla rivista dell’Accademia dei Lincei, le Osservazioni geologiche nei dintorni di Lagonegro. Un lavoro sulla regione compresa fra il Vallo di Diano e il massiccio del Pollino. Ne estrapoliamo un brano:

"Qui le cause orogenetiche hanno innalzato al cielo i superbi colossi, ammantati di neve l’inverno, profumati dai fiori l’estate, slanciando in curve maestose le rigide rocce, stipando in pieghe fittissime gli strati argillosi, spezzando e spostando masse enormi di materiale sedimentario, mentre l’acqua e l’aria, nei loro componenti e nelle loro modificazioni, lavorano quietamente e incessantemente a modellare da artefici puri quello che l’orogenesi ha grandiosamente abbozzato. Effetto mirabile di questo avvicendarsi di forze è il paesaggio che, se può colpire nei suoi lineamenti superficiali l’occhio di chiunque ha sentimento estetico, solo però all’occhio e alla mente del geologo rivela le sue sfumature più delicate, le sue linee più ardite, i suoi mirabili toni di forma e di colore. Pel geologo ogni abisso pauroso, ogni musicale cascata, ogni morbida collina ha un significato, un’intenzione, una vita speciale, verginalmente nascosta all’occhio dei profani, e pel geologo, che vi abbia studiato, il paesaggio dei dintorni di Lagonegro costituisce un quadro di meravigliosa fattura, le cui singole parti concorrono a formare un corpo armonioso, vibrante di un’onda caldissima di vita".

Un esordio scientifico di grande efficacia letteraria che sarebbe piaciuto anche ad Orazio di cui De Lorenzo era fervido ammiratore. Fossero stati coevi al tempo di Roma, Mecenate avrebbe aiutato anche il giovane scienziato come fece col figlio del liberto venosino.Se il preambolo del suo primo lavoro era lirico, il contenuto risultava ricco di notazioni rigorose e di osservazioni scrupolose. Il tutto reso in una prosa bella da leggere e perciò efficace e divulgativa insieme. Seguirono altri studi su Lagonegro e dintorni. Una mezza dozzina di pubblicazioni che contribuirono a fare luce sulla formazione, nei millenni, di una parte importante dell’Appennino meridionale, complicata da analizzare e interessante da studiare.

Prima di scrivere De Lorenzo era solito girovagare in lungo e in largo per le zone oggetto dei suoi studi. Quando si occupava di geologia cresceva forte in lui il bisogno di "sentire" la materia, di toccarla, di padroneggiarla fisicamente. Aveva percorso, solitario esploratore, le aree più interne e più sconosciute del comprensorio di Lagonegro. Passeggiava, guardava, osservava, raccoglieva pietre e sedimenti. Si sedeva sulle rocce sotto le quali sprofondavano gli orridi montani. Si riposava sdraiandosi sull’erba dei pianori. Liberava il pensiero e, prima di prendere appunti, si lasciava andare alla speculazione filosofica, cercando incessantemente il tratto che unifica spirito e materia. Esplorare, una grande passione. Un bisogno, spesso. Così, per soddisfarlo De Lorenzo cominciò anche a viaggiare. Se ne andò lontano dalla sua terra. Utilizzò buona parte degli anni migliori per conoscere nuove genti, per imparare altri usi, per capire e raccontare altri costumi, per comprendere e analizzare altre filosofie di vita. Aveva trent’anni, pochi soldi e due scarpe robuste.

Viaggiò. Come fece Marco Polo. Prese ad est. La magica via d’Oriente. Alla ricerca del mai visto, alla ricerca di una parte di sé, di quella parte che non tocca mai terra e non può essere confinata nelle viscere dei vulcani, o rinchiusa nei sedimenti planetari. Viaggiò. Penetrò in nuovi paesi, solcò mari ben più grandi di quello che bagna il golfo di Policastro. Conobbe gente poverissima e straordinariamente ricca, ignoranti senza futuro e persone coltissime senza boria e prosopopea. Fu affascinato dalla natura che si presentava ai suoi occhi. Salì ben oltre i duemilacinque metri del padre Sirino, l’immensa montagna che riempiva la sua infanzia. Si spinse ben più su, ben più su. Oltre i quattromila. Oltre i cinquemila. Oltre i seimila. E voleva proseguire ancora, ma il corpo si rifiutò -non lo spirito- di portarlo sul tetto del mondo. Attraversò la valle del Tibet, sforzandosi di andare sempre più in alto con lo sguardo, per giungere a posare l’occhio sulle cuspidi oltre gli ottomila che gli sfilavano davanti, come una possente, immensa processione bianca. Quant’era piccolo il padre Sirino al cospetto di quei giganti imbiancati.

Giuseppe Giovanni Angelo de Lorenzo nacque a Lagonegro nel 1871, il 24 aprile. La madre, Carolina Rinaldi, era di famiglia agiata che fin dai tempi di Napoleone gestiva un’impresa per il trattamento delle stoffe, una gualchiera, e un mulino nei pressi del torrente Serra. Suo padre, Lorenzo, era impiegato dell’ufficio telegrafico del paese.

Giuseppe prima di imparare a camminare andava carponi, si muoveva a quattro zampe, a contatto pieno con la terra: guardava, toccava, osservava, palpava e afferrava gli oggetti. Un giorno, in braccio al padre, percorreva a cavallo la mulattiera che portava a Maratea e, per la prima volta nella sua vita, vide il mare. Dopo qualche anno raccontò così questo viaggio:

…ai miei occhi apparve una cosa nuova, mirabile, portentosa che è rimasta poi nella mia mente indelebilmente impressa con l’immagine di quella prima visione: una distesa infinita, cerulea, che in suo giro lontano confinava col cielo: il mare, e all’orizzonte un cono: "Ecco lo Stromboli" disse mio padre, e cercò di spiegarmi quella essere una montagna cinta dal mare, la quale dalla sommità caccia fuoco e fumo. Il suo nome… e l’idea di quel fuoco sotterraneo, acceso tra mare e cielo, destava in me una sorpresa estatica, uno stupore, un’ammirazione grandissima.

A tredici anni Giuseppe perse il padre. La madre, amatissima, era scomparsa sette anni prima. Si trovò da solo. Fu aiutato da amici di famiglia cui rimase molto legato. L’inclinazione per le ricerche naturalistiche e geologiche cominciava già a farsi strada. Ma pur seguendo la sua passione scientifica, non tralasciò mai gli studi di approfondimento delle antiche civiltà, delle lingue classiche, della letteratura italiana e internazionale, delle discipline storiche e filosofiche. Quella visione del mare e dello Stromboli non l’abbandonava. Voleva capire. E ancora studente, per osservare cosa fosse un vulcano attivo e spento, salì più volte sul Vesuvio, ascese all’Etna, si recò sul Vulture, cercò di spiegarsi i fenomeni delle solfatare e delle stufe di Pozzuoli, delle fumarole, delle mofete e delle putizze dei campi Flegrei, delle sorgenti termali di Agnano. Cercò di comprendere le cause del vulcanismo. Scrisse ventotto libri sull’argomento. E sintetizzò il suo pensiero nel volume "Terra madre" pubblicato a Bologna, da Zanichelli, nel 1920.

Si laureò in Scienze naturali nel 1894, a Napoli, col massimo dei voti e con la lode. Aveva ventitré anni. Subito cominciò a pubblicare i suoi lavori. Un fiume. Tutti molto apprezzati dalla comunità scientifica.

Giustino Fortunato, di casa a Napoli e nell’Università fondata da Federico II, si accorse del giovane genio, suo conterraneo. Volle conoscerlo. Lo invitò nel suo salotto insieme con quello di Benedetto Croce, molto frequentato dai nobili e dagli intellettuali partenopei. Lo apprezzò ancora di più. De Lorenzo si appassionò alla terra avita di Don Giustino. E cominciò a studiare, da par suo, la natura vulcanica di quelle plaghe fra Lucania e Puglia. Nel 1899 pubblicò una monografia: Studio geologico del Monte Vulture. Rigorosa sotto l’aspetto scientifico, bellissima nella prosa. Inizia così:

"Chi scende dai nudi sassi dello scabro Appennino verso l’Apulia siticulosa, vede sull’orizzonte sorgere isolata e superba una montagna, che, nell’armonica semplicità delle sue linee, rivela un’origine del tutto diversa da quella dei monti, che le s’innalzano aspri di contro, e dei colli che si allungano con dolci ondeggiamenti alle sue falde. Ed infatti quella montagna, il Vulture, è un estinto vulcano, che nella pace dei boschi e dei campi e tra il murmure delle acque musicali già da tempo immemorabile dorme il suo sonno secolare".

Alla pubblicazione dell’opera non mancarono i calorosi complimenti di don Giustino e don Benedetto. Proseguì per la strada intrapresa e, ancora giovanissimo, fece due sensazionali scoperte: l’una riguardante l’esistenza di terreni triassici in Lucania, l’altra relativa alla presenza di morene glaciali nel gruppo del monte Sirino.

De Lorenzo si appassionò anche alla matematica, alla mineralogia, alla botanica, alla paleontologia, alla petrografia, all’astronomia. Lesse. Viaggiò con i libri, al Polo nord e al Polo sud. La fantasia lo portò nelle impenetrabili plaghe africane, nelle misteriose contrade dell’America settentrionale.

Pubblicò monografie interessanti e ben illustrate a carattere divulgativo. (Scrisse: Campania, TCI, Milano, 1936; Lucania, TCI, Milano 1937; Venosa e la Regione del Vulture, Ist. It. D’Arti Grafiche Bergamo, 1906; Guardando da Potenza, Potenza, 1907; L’Etna,  Bergamo 1907; L’isola di Capri, Roma, 1907; I campi Flegrei, Bergamo, 1909; Il Vesuvio, Bergamo 1931.)

Scienza e filosofia si fusero ben presto nel genio ormai maturo di Lagonegro. De Lorenzo lesse e analizzò il pensiero di Talete, Empedocle, Eraclito, Democrito, Aristotele, Epicuro, Lucrezio, filosofi dell’antichità che cercarono di scoprire e spiegare il mistero della natura. Poi fu la volta di Giordano Giuseppe De Lorenzo Bruno e Leonardo da Vinci. Lesse e studiò Kant, Schopenhauer, Spencer. Ma l’incontro che diede una svolta formidabile alla vita di de Lorenzo fu quello con il geologo tedesco Emilio Bose. Percorreva con il collega le strade della Calabria e della Basilicata. Discutevano di scienza. Bose gli parlava anche di un indologo austriaco che stava traducendo alcuni libri che raccontavano delle opere di Buddha. De Lorenzo ne rimase colpito. Fece di tutto per conoscere l’Austriaco. Strinse amicizia con Karl Eugen Neuman, così si chiamava lo studioso dell’India. Trascorse con lui alcuni giorni a Vienna e sul Danubio, nel golfo di Napoli e a Lagonegro. Girarono per le montagne dell’Italia meridionale, e lavorarono insieme alla traduzione dei discorsi attribuiti a Buddha.

Oltre alle lingue europee che parlava perfettamente, De Lorenzo cominciò a studiare la lingua Pali e il Sanscrito. Si dedicò allo studio della filosofia e delle religioni orientali. Pubblicò una serie di articoli e di saggi per far conoscere in Italia e in Europa la dottrina di Buddha. "È questa una dottrina" sosteneva, "con la quale l’uomo può dare la soluzione al problema del dolore universale". Infine abbracciò il Buddismo, in modo totalizzante, come soltanto un uomo determinato e ricco di interessi e di passioni come lui poteva fare. Da quel momento anche nelle opere di carattere geologico e scientifico di De Lorenzo l’eco dello spirito di Buddha sarà sempre presente. Il riferirsi continuo alla filosofia orientale (cui non riconosceva un vero carattere di religione) moltiplicò la sua forza interiore. Si mise a studiare i geni dell’Occidente, da lui definiti "maestri di sapienza": Platone, Lucrezio, Dante, Bruno, Leonardo, Shakespeare ("il più grande dei poeti"), Goethe, Schopenauer, Leopardi, Nietsche. Trentadue pubblicazioni, nel giro di quattro, cinque anni, partorì da questi studi.

Nel 1941 De Lorenzo fu collocato a riposo, ma la Facoltà di Scienze e l’Istituto orientale di Napoli non rinunciarono alla sua preziosa opera didattica. Che lo scienziato offrì con la consueta generosità. La guerra, però, la guerra mondiale e le immense rovine che lasciava dietro di sé lo coinvolgevano notevolmente. Il filosofo, lo scienziato, il letterato De Lorenzo si chiudeva in se stesso e sempre più spesso si rifugiava nella contemplazione della natura. Nel ‘45 il Giappone si arrese senza condizioni, dopo le bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Orrore degli orrori. Un episodio che lo sconvolse e che gli fece scrivere:

"Ritirandomi, quindi, sempre più in me, trovo che la migliore luce del mio spirito m’è venuta dalla dottrina del Buddha Sakyamuni; la quale ha proclamato che nel mondo "arcano è tutto, fuor che il nostro dolor" e ne ha indicato, come Gesù, la via della salvazione. Non posso, quindi, che ripetere quel che ho scritto nell’introduzione agli "ultimi giorni di Gotamo Buddho" che cioè, quella dottrina è stata per più di mezzo secolo il conforto della mia vita e sarà, mi auguro, la consolazione della mia morte".

Continuò a studiare, a scrivere, attività che considerava una vera e propria catarsi spirituale. Pubblicò nell’arco della sua intensa vita 250 opere.

Giuseppe Giovanni Angelo De Lorenzo, colui che aveva fatto conoscere nella prima metà del Novecento, in tutto il mondo, un paese sperso fra gli orridi dell’Appennino meridionale, chiamato Lagonegro, e una negletta regione chiamata Lucania, morì a Napoli, sua città d’adozione, il 27 giugno 1957. Da Mosca a Tokyo, da Londra a Parigi, da Vienna a Berlino a Stoccolma e Katmandu, era considerato un grande maestro di scienza, letteratura e filosofia. A Napoli, nell’Università Federico Secondo, la sua fama in vita fu immensa. Tutti ammiravano il Professore di Lagonegro. Il maestro che, con elegante e semplice linguaggio, rendeva facili gli argomenti più ostici, lo studioso che, con la ricchezza delle citazioni classiche e con lo spessore di un sapere infinito, attirava alle sue lezioni i giovani, il filosofo che avvinceva gli studenti con le grandi visioni della vita e con i voli fantastici che spaziavano dalla poesia all’arte, dalla filosofia alla scienza.

A testimoniare oggi tanta grandezza e personalità sono rimasti i numerosissimi saggi da lui scritti. Sono a disposizione di chi è ancora scettico sull’uomo -scienziato, filosofo, linguista, letterato, filologo- De Lorenzo.

Da Lagonegro. Lucania."

[Quelle: http://www.regione.basilicata.it/consiglio/basilicata_regione_notizie/brn98_01/PDF/21%20Sernia.pdf. -- Zugriff am 2003-06-17]

1925

Salvatore Cioffi (1897 - 1966) geht nach Birma und wird unter dem Ordensnamen Lokanatha zum Mönch ordiniert. Ab 1933 widmet er sich der buddhitischen Mission in Birma, Singapur, Malaya, Hong Kong, Shanghai, Hawaii und Europa.

"Ven. Lokanatha : Breve ricordo della leggendaria figura del Ven. Lokanâtha pioniere italiano del monachesimo buddhista theravâda

Articolo Postato a mahayana.it da P.A. Morniroli

Salvatore Cioffi nacque nel 1897 da genitori napoletani cattolici, ultimo di sei figli, e all’età di tre anni emigrò con la famiglia negli Stati Uniti. 

Laureatosi in chimica ed impiegatosi in una importante azienda, nel corso di ricerche in biblioteca si imbattè nel Dhammapada dalla cui lettura rimase piacevolmente folgorato.Approfondito lo studio del Dhamma con la lettura di tutti i testi inglesi allora disponibili, dopo un paio d’anni decise di divenire bikkhu e, all’ insaputa della famiglia che ne osteggiava la scelta - specie un fratello gesuita - all’età di 27 anni partì per l’India.

Si trasferì poi a Sri Lanka dove perfezionò la conoscenza dell’insegnamento del Buddha. Di lì si trasferì in Birmania dove, nel 1925, all’età di 28 anni divenne monaco mendicante itinerante. Alla pratica della meditazione dedicò sette anni di solitudine sull’Himâlaya.Percorse tutta la Birmania, ritornò a Sri Lanka e in India, andò in Thailandia, e divenne importante nel Sangha tanto da guidare pellegrinaggi di numerosi monaci birmani, thailandesi e singalesi in India nei luoghi sacri dove operò lo Svegliato.Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, avendo ancora la nazionalità italiana, fu internato dagli inglesi in campo di concentramento dove continuò a praticare il Buddhadhamma. Nell’autunno del 1941, in seguito all’ arrivo dei giapponesi, gli inglesi lo trasferirono, insieme ai prigionieri politici, in India nel campo di prigionia di Patna. 

Nel 1945, terminata la guerra, tornò in Birmania. Nel 1948 fece ritorno negli Stati Uniti dove fondò una missione ed una casa editrice. Continuò a trasmettere il messaggio del Dhamma anche in Europa - nell’occasione fu anche in Italia, in particolare a Roma ed a Torino, e nel Sud-Est asiatico. 

Nel 1951, in Birmania divenne Capo del Buddhismo mondiale, responsabile di ottantamila monaci birmani e duemila tra pagode e monasteri. Nel 1955 organizzò l’ultimo concilio buddhista che si tenne a Rangoon. 

Nel 1966 morì a Maymyo, nella Birmania centrale, all’età di 69 anni.Del Ven. Lokanâtha si trovano notizie piu’ particolareggiate su:Rivista “L’età dell’Acquario” n. 75/1992

Viaggio in Birmania” di Edoardo Profumo - Ed. Promolibri, Torino, 1997, pag. 54.

Riferito da Giancarlo Scaravaggi nel libro di Bernardino Del Boca “Birmania, un paese da amare”.Casa Editrice L’età dell’acquario - Bresci Editore - Torino - pagg.57, 58 e 60. 

[...] Anch’io avrei voluto parlargli, chiedergli se aveva conosciuto Salvatore Cioffi, il napoletano che era diventato capo della chiesa buddhista birmana.  Cioffi, nato nel 1877 (1), all’età di tre anni emigrò con la famiglia negli Stati Uniti dove si laureò in scienze biologiche e chimica poi si convertì al buddhismo e, nel 1925, andò in India ed entrò nel Sangha, il potente ordine monastico.

Si trasferì poi a Rangoon dove divenne un ponggi (monaco).  Era un monaco con molta iniziativa e molta fede e pensò che doveva riuscire ad unire il buddhismo al cristianesimo.Così nel 1926 partì a piedi per l’Italia, attraversando l’India, l’Iran, l’Iraq e la Turchia per arrivare nel napoletano dove i parenti ebbero difficoltà a riconoscerlo, date le poche parole d’italiano che conosceva.  Non riuscì ad incontrare Papa Pio IX e ritornò a Rangoon dove presto si fece apprezzare per i suoi poteri extra-sensoriali e per la sua fede.

Dormiva seduto e fu così chiamato “colui che non fu mai supino”. Fu nominato Sayadaw (grande maestro venerabile) e col nome di Lokanatha, nel 1938, iniziò la sua opera per inviare missionari buddhisti in occidente. 

Nel 1940 fu internato in un campo di prigionia dagli inglesi in quanto italiano, ma soprattutto perché era l’allievo spirituale del grande patriota antibritannico U Wisara e ne aveva anche ereditato i metodi di lotta passiva contro il colonialismo, lotta non violenta, ma sempre pericolosa per l’impero britannico. Nell’autunno del 1941 i britannici dovettero sgombrare la Birmania per l’arrivo dei giapponesi e i prigionieri politici furono portati in India, nel campo di prigionia di Patna. Così anche Cioffi, il Venerabile Lokanatha, dovette subire un trattamento speciale, ma la sua resistenza passiva ed eroica, costrinse gli inglesi ad accordargli tutto ciò che voleva. Vinta la guerra, il 16 ottobre 1945, i britannici ritornarono in Birmania e il Venerabile Lokanatha con loro.Nel 1946 il Venerabile fonda a Mandalay l’”Opera buddhista all’estero”” e nel 1947 pubblica il libro “Girdling the Globe with Truth” (Avvolgendo il mondo con la verità) che ha subito un grande successo. Poi parte per un giro missionario ben organizzato a Singapore, Kuala Lumpur, Hong Kong, Shanghai, Manila, isole Hawai, San Francisco, Los Angeles, New York ed inizia a raccogliere un tesoro per finanziare la sua opera di illuminazione e di pace.

Poi parte per l’Europa: Londra, Parigi, Marsiglia, Genova e Roma, ma il Papa non lo riceve.Ritorna in Birmania dove, nel 1951 è diventato il Capo del Buddhismo mondiale, con ottantamila monaci birmani e duemila tra pagode e monasteri. A Mandalay fa confezionare una bandiera del buddhismo mondiale, un quadrato di un miglio per lato di stoffa gialla con cui fa coprire le rovine del grande palazzo reale, davanti a duecentomila fedeli. A Rangoon, durante la sua visita alla Shwedagon Pagoda, le donne sciolgono le loro trecce e così il Venerabile può salire il lungo scalone su un tappeto di capelli. 

Intanto le offerte per la sua opera arrivavano da tutto il mondo e nel 1955 con questo denaro il Venerabile Lokanatha può organizzare il IV Sinodo buddhista mondiale e far costruire l’immensa grotta dove si tenne il Sinodo e spendere quattro milioni di dollari per la stampa dei cinquanta volumi sacri da distribuire per tutto il mondo. Il tesoro di Lokanatha, composto anche di pietre preziose e oro è conservato dal Sangha in una cappella segreta costruita su di un nero laghetto sotterraneo.  Nel 1963 e nel 1965 organizzò altri viaggi, ma la sua salute cominciò a declinare.

Nella primavera del 1966 si ritirò a pregare fra le colline di Maymyo negli Stati Shan, ma un giorno scopre di avere una piaga sul cuoio capelluto. Viene diagnosticato un tumore maligno. Si dovrebbe ricorrere alla cura di cobalto, ma il Venerabile non accetta. Il 25 maggio 1966 il Venerabile Lokanatha muore. I parenti italiani tentano di far causa al governo birmano per avere in possesso una parte del tesoro di Salvatore Cioffi, ma inutilmente perché il tesoro è del Sangha, dell’ordine monastico e non di Lokanatha.

Le sue ceneri sono conservate nella pagoda di Maymyo, in questa ridente località climatica che si trova a 1060 metri di altezza. 

Ricordano l’opera di Cioffi la costruzione della grande pagoda Kaba Aye e la pagoda Ahwedagon di Rangoon.[...]

(1) Secondo altra fonte la data giusta è 1897.Altre notizie di Lokanatha su: PARAMITA n. 46 pag. 27; n. 47 pagg. 35 e 36; n. 48 pag. 62;Rivista “L’eta’ dell’Acquario” n. 75/1992 e “Viaggio in Birmania” di EdoardoProfumo - Ed. Promolibri, Torino, 1997, pag. 54."

[Quelle: http://www.mahayana.it/index1.html?Ven_Lokanath.html. -- Zugriff am 2005-07-09]

1987


Abb.: Roberto Baggio

Fußballstar Roberto Baggio (1967 - ) konvertiert zu Soka Gakkai.

"Baggio's Story

The following article was written in conjunction with Roby himself! This story is all about Roberto Baggio's career and gives us a special look into our hero's life from his own personal perspective. Please take some time to read the following article. You will find it very interesting! Roberto Baggio, The golden Ball The Golden Ball to me, the sixth of eight children, has come unexpected. But it’s no joke. It’s a prize that makes me feel so proud and increases my responsibilities. An important goal that only Gianni Rivera and Paolo Rossi attained in Italy. What should I say? That needs no explanation. Such an emotion has to be shared with my wife Adreina, my daughter Valentina and all those people who love me. I don’t know if this is the dream of my life. No doubt, the ball has always been golden to me. I mean that I have always been attracted by football. My parents know something about it. I moved my first steps trying to run after a ball. I was only allowed to watch TV till late on Wednesdays when they always gave football matches for the cup. It’s of little consequence if I used to fall asleep on the sofa, lulled by my father’s and my elder brothers screams. All of them were fans of Inter, as all people named Baggio. So was I, of course, but I didn’t share their enthusiasm- those who have elder brothers will easily understand me. However no Eurovision was worth the daily football match with my friends. And even later I always tried to entertain people and enjoy myself by playing. And I seldom failed to. I won’t tell you about my first success. Can I exaggerate? As the captain of Juventus and number 10 on the National team that will play in the World Championship in USA, I can assure you the junior team of Vicenza deserves its place in the history of football. At that time I was known as Zico, as the coach of the team, Mr. Savoini, had nicknamed me. Everytime we used to play in front of 3000 people. That was extraordinary. And even now I cannot believe that I have been the only one to attain success. Maybe I have been so lucky because I come from a family of common people. I gave my first kiss to a girl who was to become the mother of my children, instead of experiencing drugs that were the ruin of some mates of those days. Maybe it is true, I am pre-destined , a so called wonder. But even Roberto Baggio had his share of troubles and ran his risks.. In Florence for example, when I was still unknown, a series of accidents brought me down on my knees. But I was lucky enough to find true friends- President Baretti and the coach of Fiorentina-who were a great help to me. Later on, when I left the club, that brand of infamy I had to bear for a long time. I wonder whether I should say it again, but the only thing I reproach myself concerns some of my statements. Maybe I exaggerated but I’m not a Judas. After all, it’s not easy to be understood or believed when you have a temper as mine. Even in Turin, in the beginning I was often misunderstood. It probably depends on me, but I still don’t think I should apologize to someone. Now at 27 years of age, I have attained a deeper experience and things are much easier. Such a great club as Juventus, a town such as Turin make you feel safe, give you protection and privacy. They are perfect to me. I like staying with my family as soon as I am free from the engagements that make up my time table. I am also fond of hunting- an un-popular hobby maybe. But I can’t do without it. I am a born hunter like my father, my grandfather and every man of my family before them. It was paradise when- as a young boy- I could go hunting with my father in the surroundings of Udine. And now something special still remains. I have no rich collections of precious arms , just my automatic rifle and a little more. I am not one of those hunters who count their shotgun cartridges when the season is over. And there is something else: silence, the chance to isolate yourself and meditate. If someone saw me in an secluded spot I have discovered near Pavia, he would not recognize me. There is a hut and a little lake where I go with a few true friends when I am free. There we talk for hours and hours without firing a shot. In short, hunting to me is rather a natural fact then chioce. It’s a part of me. After all it’s the same with Adreina, my wife. I met her when we were 15, one day in summer. The following day I had to go in retreat before the championship began and I was already upset. Then, on the square in front of my house, she passed by, riding a motorbike with a friend. I had never met her before. No doubt, she was pretty. But I was afraid I could not stop her and say hello. I hesitated the whole afternoon, even after dinner, because of my shyness. Then in the evening I picked up my courage and I approached her. I took one of her golden rings as a joke. Four years ago, on July 2nd, I gave her a wedding ring in change of that little one. Indeed, although our love story had been going on for eight years. I was so moved that day. I felt even more excited when I was told she was bearing me a baby. That will happen again next May, when I join the national team training for the World Championship. Valentina, who is three years old now, will have a brother or a sister. What kind of father am I ? Crazy about my daughter, passionate and understanding. My daughter always fills me with wonder and anew. I am always touched by her tenderness when I am at the door, a suitcase in my hand, ready to leave. So when we are together I can’t stop playing with her, I tell her stories I make up myself, I put her to sleep next to me in our bed. It goes without saying family are a great importance to me. As with all my strong feelings, I try to protect it. I value my privacy highly. But I can hardly escape my fans. I know how important a photo, a signature, a smile can be for those who feel you belong to them. But when I knock off I forget about that. This is not a kind of escapisim but an individual right.

The need for balance, fundamental to me, led me to Buddhism- a topic I ca hardly deal with in public. I can’t stand banality, the common belief of a Buddhist as one who prays in front of a statue of a fat man. I’ve always attended the Japanese school the Soka Gakkai- that came to know thanks to a friend from Florence. He understood I was in troubles. Practices improved my life style and made me conscious of the fact that everybody must be responsible for his own life, not only from a spiritual point of view. Life is an endless cycle for those who believe in reincarnation. When I meditate and pray before a football match I am not looking for suggestions, as it is often said to simply. On the contrary meditation is a spiritual practice that fortifies you. Sanscho is a spiritual exercize. It allows me to reflect so deeply that I soon find the highest concentration and attain the greatest results. This belief belongs to me so deeply. Therefor I made up my mind up a symbol of it on my own. Last summer when I was in Japan, I was given a gift, three silken ribbons the colours of Soka Gakkai- blue, yellow and red. They are decorated with Japanese ideograms representing the exhortatory conceit we win, we must win. I’m wearing those ribbons round my arm as the symbol of Juventus captain . It is not a trifle but a kind of religious rite .

On the other hand I can admit the queue I have been wearing for a couple of years is a trifle, but it is common for a lot of people. I like combing my hair like that, that’s the point. Maybe I’ll be able to score a goal using my queue. It’s easier anyway than a goal by a header. Maybe here you’ll find the most important technical change between Roberto Baggio the young player and the new one. As a professional I have never scored an aerial goal, where as a young boy I had a special talent in the take off, so that at Montebelluna I could score 3 goals by header, beside a fourth by foot. Yes, I have always scored a lot. I like scoring. And having reached 100 goals in A division with the recent score of 3 goals against Genova was something special to me. It was an important target as it is also my playing 200 football matches in A division. If I had to choose one, it would have to be the first match I played at San Siro against Mt. Sacchi’s Milan. He also was at his debut at Meazza stadium. On 20 Setember 1987, Fiorentina- the team I belonged to- won 2-0. Diaz had scored the first goal, the second was mine, scored after my dribbling Baresi, Fillipo Galli, and Giovanni Galli coming out of goal. But I scored so many striking goals besides those in the championship, for example when I played in the national team on 20 Setember 1989, then 2 goals against Bulgaria at Cesena or another one against Czechoslovakia during the world championships in 1990. Or again with Juventus playing for the cup against Paris St. Germain and Borussia Dortmund. Actually the goal I am still so proud of is one I scored making a scissors movement. I was playing in the junior team of Vicenza at Castel Fiorentino. But it was so long ago. One of my most resounding victories is the cup I raised last May- The UEFA Cup I won playing with Juventus is unforgettable . That’s history! I hope , anyway, other prizes will follow. I’d like to put a badge beside it at least and also to win a world championship as the leader. Maybe I am speaking as a winner of the Golden Ball now, and I forget I am actually the sixth of eight children, come unexpected , in short.. ****** Written by ROBERTO BAGGIO & ANDREA SANTONI taken from his authorized Biography BAGGIO il FENOMENO 1993"

[Quelle: http://members.lycos.nl/RobinvWijk/index-2.html. -- Zugriff am 2005-06-16]

2001

Buddhismus wird in Italien als "Staatsreligion" anerkannt. Buddhistische Ordensangehörige und Geistliche haben gleiche Rechte wie ihre katholischen Entsprechungen.


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